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Alcamo e la Scuola poetica siciliana

La lingua Volgare
Le lingue d'Oc e d'Oil
La Scuola poetica siciliana
La produzione lirica della Scuola
Giacomo da Lentini, il caposcuola
L'invenzione del Sonetto
Cielo d'Alcamo
Pier della Vigne
Altri poeti della Scuola
Il matematico Leonardo Fibonacci
Federico II e gli Svevi
Guelfi e ghibellini
 
Alcamo e la sua storia
Il castello d'Alcamo e le
antiche mura

Il castello di Calatubo
La Chiesa Madre ed altre chiese
Riserva naturale Bosco di Alcamo

Video su Federico II e la
Scuola siciliana

Video su Alcamo
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ALCAMO E LA SCUOLA SICILIANA

        Alla base dei grandi poeti
   toscani del Trecento (Dante, Petrarca
   e Boccaccio) vi è l’uso aulico del
   Volgare fatto dalla Scuola poetica
   siciliana alla Corte di Federico II di
   Svevia. Riscopriamola unitamente
   ad Alcamo, la città natale di Ciullo.

   

    Cielo d'Alcamo

   
     
     

 

 

Busto marmoreo di Ciullo d'Alcamo
Villa Giulia (Palermo)

Esculapio - 7 novembre 2010
Foto da Wikimedia Commons

 






 

Cielo d'Alcamo, è conosciuto altresì come Ciullo d'Alcamo. Come capita per personaggi antichi (Cielo d’Alcamo è del XIII secolo) si hanno diversi nomi con diverse derivazioni. L’appellativo Ciullo potrebbe essere diminutivo di Vincenzullo, o deriverebbe dal volgare siciliano come deformazione grottesca caratteristica dei nomi giullareschi del Duecento. Per altri studiosi, Ciullo originerebbe da Cheli, diminutivo invece di Michele. Da questo si passò a Celi e successivamente, in Toscana, deformato in Cielo.
Anche il secondo nome, d’Alcamo, esisterebbero diverse derivazioni. La più ovvia è certamente che il poeta fosse nato ad Alcamo, cittadina siciliana della provincia di Trapani. Altri ricercatori ipotizzano sia una modificazione da antichi cognomi, come Dal Camo, Dalcamo. In ogni caso “Alcamo” era un nome attestabile nella Palermo del XIII secolo, che derivava proprio dal toponimo. Da alcuni documenti sappiamo comunque con certezza che nacque in Sicilia da famiglia colta.

Rosa fresca aulentissima
Dalle pochissime notizie su Cielo d’Alcamo, sembrerebbe essere stato un giullare che aveva rapporti con la Magna Curia di Federico II. L’opera e l’attribuzione del componimento, famosissimo, di Rosa fresca aulentissima è attestata solo dall'erudito del Cinquecento Angelo Colocci, che probabilmente si basava sulla conoscenza di testi, che a noi non sono giunti (ricordiamo che ci si riferisce per la Scuola siciliana quasi esclusivamente al Canzoniere Vaticano latino 3793). E’ chiaro, quindi, che l’attribuzione del celebre componimento ed altre poesie, non è confermata da più documenti, se non da quello citato.
Giullare o poeta che fosse, Cielo d’Alcamo doveva essere persona sicuramente molto colta. Il componimento tradisce riferimenti al genere cortese e a tutta la letteratura ad esso collegata. La figura della “pastorella” non è un’invenzione del poeta, ma una delle figure più tipiche dell’amor cortese
(
il signore che dialoga con una pastorella, di cui è innamorato). Il tema della “Rosa”, non può essere che un riferimento (e una citazione) del Roman de la Rose, testo chiave per tutto il genere cortese. Il suo autore, quindi, non improvvisava, ma aveva perfetta conoscenza della letteratura dell’epoca.
Altra questione è l’impostazione giullaresca della poesia, che “gioca” con riferimenti ironici alle opere degli stessi colleghi della Scuola. L’uso del dialetto principalmente siciliano, presenta contaminazioni ad altri dialetti della penisola. Il brano poi sembra essere, più che una poesia da accompagnare con della musica, un vero e proprio mimo giullaresco, cioè da recitare pubblicamente in una rappresentazione.

“La tassa sullo stupro”
Nei versi 21-25 di Rosa fresca aulentissima si recita::

"Se i tuoi parenti trova[n]mi, e che mi pozzon fare?
Una difensa mèt[t]oci di dumili' agostari;
non mi toc[c]ara pàdreto per quanto avere ha 'n Bari.
Viva lo 'mperadore, graz[i'] a Deo!
intendi, bella, quel che ti dico eo?"

Dalla lettura dei versi gli studiosi determinano la data del componimento. Può essere stata scritta solo tra il 1231, data della promulgazione delle Costituzioni Melfitane, e il 1250, data della morte dell’imperatore Federico II. La datazione ipotizzata prende spunto dall’interpretazione del riferimento agli "agostari".

Questi ultimi sarebbero, infatti, una multa altissima sancita da  Federico II in caso di stupro, realizzata in favore dei nobili. Pagando questa tassa e gridando "viva l'imperatore" al momento dello stupro, non poteva essere perseguito (la "difensa" citata nei versi). Se non si pagava la tassa poteva essere impiccato sul posto. Guarda un po’ cosa inventavano ai tempi. Altro che amor cortese…

Il primo ad accorgersi dell’eccezionalità di Rosa fresca aulentissima fu il De Sanctis (nell’Ottocento), che lo indicò come esempio della poesia giullaresca o della poesia satirica toscana (che verrà subito dopo), giudicandolo di una naturalezza e novità, che lo pongono vicino alla poesia moderna. Il nobile, che corteggia la pastorella, nel dialogo espresso nel volgare siciliano, le offre il suo amore con parole dolci e sublimi, contemporaneamente a parole da bordello. La ragazza, prima rifiuta drasticamente, per poi cedere alla fine del componimento. Vi è tutta l’ironia giullaresca, ma garbata ed arguta. Peccato che proprio con la Scuola siciliana di Federico II, inizia la storia della poesia italiana, che lascia alle spalle la tradizione letteraria dei giullari, che confluirà, comunque, nell’opera degli Zanni, attori girovaghi,  che improvvisavano nelle piazze del Cinquecento. Con questi la tradizione popolare creò la successiva commedia dell’Arte, che si basava, anch’essa, sull’improvvisazione.

 
 

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