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   Alcamo e la
   Scuola poetica siciliana
   
 
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 La Scuola siciliana

 

  La lingua Volgare
Le lingue d'Oc e d'Oil
La Scuola poetica siciliana
La produzione lirica della
Scuola
Giacomo da Lentini,
il caposcuola
L'invenzione del Sonetto
Cielo d'Alcamo
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Il matematico Leonardo
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Federico II e gli Svevi
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     ALCAMO E LA SCUOLA SICILIANA
  
   

       Alla base dei grandi poeti
   toscani del Trecento (Dante, Petrarca
   e Boccaccio) vi è l’uso aulico del
   Volgare fatto dalla Scuola poetica
   siciliana alla Corte di Federico II di
   Svevia. Riscopriamola unitamente
   ad Alcamo, la città natale di Ciullo.

   
     La lingua Volgare    
     
     

 
 
La nuova carrucola di sollevamento carichi nel medioevo



Foto da
Wikimedia Commons







 

 

Per lingua volgare nell’Europa occidentale del medioevo si definiva la lingua del vulgus, cioè parlata dal popolo. Essa si era formata dopo la caduta dell’impero romano. In un periodo di massima chiusura di ogni comunicazione, con i barbari che imperversavano, le singole comunità si formarono il loro dialetto. In parte essi originavano dalle lingue preromane, in parte dal latino, in parte dalle popolazioni confinanti e in parte dagli influssi delle varie tribù barbariche. Tra i nobili, la Chiesa cattolica e come lingua ufficiale rimase il latino, ma non più quello dell’epoca classica. D’altra parte, anche nell’antica Roma, il latino parlato dalle classi agiate e culturalmente più elevate e quello della comune popolazione differivano. Il latino delle classi meno agiate era denominato "sermones vulgares"). Da tutti questi dialetti si sono formate le lingue romanze, oggi divenute lingue di Stato, come l’italiano, il francese o lo spagnolo.

Se non si può dare una data di nascita della lingua volgare, gli studiosi concordano che già dal secolo VIII, l’uso del volgare è divenuto necessario per la comprensione reciproca, anche basandosi su una serie di documenti ritrovati che ne fanno uso. Tra questi i più importanti sono: l'Indovinello veronese (dell’800 circa), il Giuramento di Strasburgo, redatto in volgare francese e tedesco (dell’842), i Placiti cassinesi (del 960 circa), e la Guaita di Travale (del 1158). Nell'XI secolo, il volgare appare in una molteplicità di scritti e documenti, di tipo giuridico, ecclesiastico e mercantile, che ne comprovano, ormai, l’uso continuo.

L’uso del volgare e una prima forma di letteratura italiana lo abbiamo a partire dal XIII secolo. I testi in volgare testimoniano la volontà d’essere compresi in tutta la penisola italiana. Di questo periodo l’analisi poggia sugli scritti di Francesco d'Assisi (1181-1226) e della scuola poetica siciliana (1250 circa). Di quest’ultima, lo scritto più famoso (e forse il più importante) in volgare siciliano è "Rosa fresca aulentissima" di Cielo d’Alcamo.

Francesco De Sanctis, nella sua Storia della letteratura italiana (XIX secolo), rileva, che, in realtà il volgare siciliano era così denominato perché esistente nel Regno di Sicilia. Gli autori della Scuola, infatti, utilizzavano, oltre al siciliano, diversi volgari meridionali, tra cui il volgare napoletano, (detto pugliese).
Quindi, queste prime opere risentono dell’influenza dei vari dialetti locali, anche se esiste la volontà di decantare una lingua comune comprensibile su tutta la penisola.
Andrea da Grosseto, nel 1268,  traduce dal latino al volgare (il primo a farlo) i Trattati morali scritti da Albertano da Brescia. L’autore stesso definisce il suo trattato italico.
Nel secolo successivo appaiono i grandi poeti toscani, come Dante (1265-1321), Petrarca (1304-1374) e Boccaccio (1313-1375). Gli autori fanno uso di un volgare toscano corretto di alcune espressioni non presenti nei dialetti di altre regioni. Il frutto del loro lavoro è la nascita della lingua italiana. Tuttavia, in questa prima fase la nuova lingua è utilizzata solo in ambiti ristretti, come quelli artistici e letterari.

In realtà, il volgare come lingua comune non attecchisce subito. Se si esclude la zona toscana, le classi nobili e gli studiosi del resto d’Italia continuano nell’uso del latino. A facilitarli è la riscoperta delle opere della classicità, fino allora chiuse nelle biblioteche o nelle abbazie, che sfocerà nel Quattrocento nell’Umanesimo. Ciononostante, durante il XV secolo, la lingua volgare si affianca al latino. Gli stessi ricercatori della classicità divengono bilingue, creando testi in latino per una cerchia ristretta e testi in volgare , per una comprensione e diffusione più ampia. A volte si trovano testi in tutte e due le lingue. La situazione si protrarrà fino alla metà del Cinquecento, quando il volgare soppianterà la lingua classica. Merito di ciò è la progressiva diffusione di testi stampati in tipografia in lingua volgare. Il latino continuerà a sopravvivere come lingua religiosa e come lingua franca per gli ambasciatori, per i letterati e gli scienziati. Grandi della scienza, nei secoli successivi hanno continuato a diffondere le loro ricerche utilizzando il latino. Tra questi, ricordiamo Newton, Eulero e Gauss. La lingua franca diverrà, in seguito, il francese e ore l’inglese.

 
 
 

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2013