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Alcamo e la Scuola poetica siciliana

La lingua Volgare
Le lingue d'Oc e d'Oil
La Scuola poetica siciliana
La produzione lirica della Scuola
Giacomo da Lentini, il caposcuola
L'invenzione del Sonetto
Cielo d'Alcamo
Pier della Vigne
Altri poeti della Scuola
Il matematico Leonardo Fibonacci
Federico II e gli Svevi
Guelfi e ghibellini
 
Alcamo e la sua storia
Il castello d'Alcamo e le
antiche mura

Il castello di Calatubo
La Chiesa Madre ed altre chiese
Riserva naturale Bosco di Alcamo

Video su Federico II e la
Scuola siciliana

Video su Alcamo
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ALCAMO E LA SCUOLA SICILIANA

        Alla base dei grandi poeti
   toscani del Trecento (Dante, Petrarca
   e Boccaccio) vi è l’uso aulico del
   Volgare fatto dalla Scuola poetica
   siciliana alla Corte di Federico II di
   Svevia. Riscopriamola unitamente
   ad Alcamo, la città natale di Ciullo.

   

    La produzione lirica della
    Scuola

   
     
     

 

 

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Foto da Wikimedia Commons

 






 

La produzione poetica e saggistica della Scuola siciliana, ad oggi posseduta, consiste, soprattutto, nella raccolta contenuta nel manoscritto Vaticano Latino 3793. Realizzata da un copista toscano, se non altera le composizioni sotto il profilo poetico, si sospetta che lo faccia per quanto riguarda la lingua. Più che volgare siciliano sembra sia volgare toscano. Non si ha, quindi, una conoscenza esatta dell’antico volgare in cui furono create dai poeti della corte federiciana.
I pochi testi originali ci sono pervenuti grazie all’emiliano Giovanni Maria Barbieri, uomo di cultura del Cinquecento, che li riporta da un antico manoscritto siciliano. Non è molto: si tratta del componimento Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro e di tre piccoli spezzoni dei poeti Re Enzo (di S'iu truvassi Pietati e Allegru cori plenu) e Guido delle Colonne (Gioiosamente canto).

Le novità
Tra i moltissimi testi del manoscritto toscano, vi sono quelli del poeta Giacomo da Lentini, che viene considerato il caposcuola del gruppo, inventore del Sonetto. Tra le novità principali vi è, infatti, il suo rivoluzionario sistema metrico, che diventerà canonico per poeti come il Petrarca, che troverà il sonetto molto pratico e musicale.
Oltre quest’ultimo, molte sono le novità apportate dalla Scuola, che in parte preannuncia il Dolce Stil Novo. Infatti, se il riferimento è alla poesia provenzale (quest’ultimo è lingua d'oc, mentre il francese si chiama
lingua d'oil), la Scuola se ne distacca, creando, all’interno del linguaggio cavalleresco, nuove forme italiane, termini e suffissi. Coniando parole nuove dal francese, utilizzando dialetti di varie regioni, oltre che siciliana, anche toscana e trevigiana, la produzione della Scuola raggiunge un linguaggio sovraregionale, molto ricco sia in qualità che quantità. Nei testi il linguaggio si contamina di vari dialetti locali, dal catanese al palermitano, al pugliese. Alcuni studiosi ritengono che tale varietà linguistica sia dovuta ai continui spostamenti di Federico II (impegnato in campagne politiche e militari) e della sua corte. Nelle diverse condizioni locali, i poeti della Scuola non potevano che assorbirne, in qualche modo, i singoli dialetti.
Tutto ebbe inizio, probabilmente, quando alla corte di Federico giunsero alcuni poeti trobadour provenzali esiliati. Il confronto e l’ispirazione dai loro componimenti fu un tutt’uno. Improvvisamente, si diede valore e dignità al volgare, utilizzato, fino ad allora, per qualche canto popolare o giullaresco (ne parlerà Dante nel De Vulgari Eloquentia).

Con la chiusura del
la scuola siciliana, nel 1266, dovuta alla morte di Manfredi, e alla fine del dominio svevo, tali novità, ben conosciute nel resto d’Italia, furono riprese dalla cosiddetta scuola neo-siciliana, fondata da Guittone d'Arezzo. Nel mentre numerosi copisti stavano diffondendo, in Toscana, “la poesia lirica dei Siciliani”, come la chiamerà Dante Alighieri. Vi furono, come abbiamo visto, delle differenze di traduzione, quasi obbligate. Ad esempio, mentre il volgare siciliano aveva cinque vocali (i, è, a, o, u), derivate dal latino nordafricano, il volgare toscano ne aveva sette (i, é, è, a, ò, ó, u). Anche la fonetica dei due dialetti non coincideva.
Molti poeti nei secoli successivi ripresero il sonetto e la sua metrica, citiamo, a titolo di esempio, William Shakespeare nei suoi componimenti non teatrali, e Charles Baudelaire.

 
 

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