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Alcamo e la Scuola poetica siciliana

La lingua Volgare
Le lingue d'Oc e d'Oil
La Scuola poetica siciliana
La produzione lirica della Scuola
Giacomo da Lentini, il caposcuola
L'invenzione del Sonetto
Cielo d'Alcamo
Pier della Vigne
Altri poeti della Scuola
Il matematico Leonardo Fibonacci
Federico II e gli Svevi
Guelfi e ghibellini
 
Alcamo e la sua storia
Il castello d'Alcamo e le
antiche mura

Il castello di Calatubo
La Chiesa Madre ed altre chiese
Riserva naturale Bosco di Alcamo

Video su Federico II e la
Scuola siciliana

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ALCAMO E LA SCUOLA SICILIANA

        Alla base dei grandi poeti
   toscani del Trecento (Dante, Petrarca
   e Boccaccio) vi è l’uso aulico del
   Volgare fatto dalla Scuola poetica
   siciliana alla Corte di Federico II di
   Svevia. Riscopriamola unitamente
   ad Alcamo, la città natale di Ciullo.

   

    Guelfi e ghibellini

   
     
     

 

 

La battaglia di Benevento, miniatura della Nuova Cronica di Giovanni Villani

Foto da Wikimedia Commons

 



 Nella Germania del XII secolosi crearono due grandi famiglie, contrapposte tra loro. La prima era quella degli Welfen, famiglia bavarese e sassone, che parteggiava per il Papa, mentre la seconda, quella degli svevi Hohenstaufen, signori del castello di Waiblingen, che, invece, sosteneva l’imperatore. Co la morte, infatti, dell'imperatore Enrico V (nel 1125), che non aveva eredi diretti, si scatenò la lotta per la successione nella corona imperiale. Le due fazioni si ripercossero sulla politica italiana del Duecento nel campo della lotta per le investiture. Nacquero, a livello comunale, i famosi guelfi (versione italianizzata di Welfen) e ghibellini (dall’antico termine Wibeling, da cui ghibellino). Lo scontrò terminò in Italia nel XIV secolo, con la nascita delle Signorie.
Nell’Italia centro-settentrionale, i guelfi e i ghibellini si schieravano a macchia di leopardo. Così troviamo filo-imperatore
i comuni di Como, Cremona, Pisa, Siena, Arezzo, Parma e Modena, mentre fra i filo-papali abbiamo i comuni di Milano, Mantova, Bologna, Firenze, Lucca e Padova. Ma la dicotomia tra fazioni si esprimeva non solo a livello di comuni, ma anche all’interno delle città stesse a livello di famiglie. A Firenze, ad esempio, coesistevano i  Buondelmonti (ghibellini), e gli Amidei (guelfi). Quando fu ucciso Buondelmonte de' Buondelmonti si scatenò la lotta interna anche a Firenze. Nell’intento, ovvio, di prevalere si formarono i raggruppamenti di comuni, dette Leghe, che si confrontarono scontrandosi in infinite battaglie.

Dalla seconda metà del XIII secolo la lega delle citta guelfe Firenze e Lucca (ed alleati), ingaggiò una furiosa guerra contro la lega delle città toscane ghibelline, formata da Arezzo, Siena, Pistoia, Pisa. Vi furono le battaglie di Montaperti nel 1260, di Campaldino nel 1289 e quella conclusiva di Altopascio nel 1325.

In realtà, la fazione sveva entrò in crisi con la fine della dinastia della famiglia imperiale tedesca (che era iniziata con Federico Barbarossa). Dopo il 1266, con la battaglia di Benevento, iniziarono una serie di sconfitte di Manfredi di Sicilia e Corradino che si conclusero nel 1268. Con l’affermazione guelfa nell’Italia meridionale, la discordia guelfo-ghibellina arrivò a termine con la liquidazione di quest’ultima. L’appoggio militare del re di Napoli, Carlo I d'Angiò  (francese) e dei vari Papi si rivelò vincente. Con la famosa battaglia di Colle Val d'Elsa, del 17 giugno
del 1269, i ghibellini pisani vennero sonoramente sconfitti.
Le ultime fazioni filo-imperiali andarono via via scomparendo dall’Italia centro-settentrionale, nell’arco di pochi decenni. All’approssimarsi della sconfitta finale, molti ghibellini finirono per passare tra le fila dei guelfi.

Nonostante la vittoria conseguita, la pace interna non durò a lungo. Le lotte intestine, infatti, si ripresentarono, stavolta tra gli stessi guelfi. Nacquero due fazioni: i guelfi bianchi e i guelfi neri.
Secondo lo storico Giovanni Villani, la scissione si verificò dalla famiglia dei Cancellieri di Pistoia. Scoppiò una lite interna (forse per colpa dell’alcol) con lo scoppio di forti tumulti in città. La famiglia fu esiliata ed i contendenti si ritrovarono insieme a Firenze. Qui, ognuno cercò i propri appoggi, nella famiglia dei Cerchi (i bianchi) e nella famiglia dei Donati (i neri). La città ben presto fu contagiata ben presto dai malumori e si crearono le due nuove fazioni. I bianchi, pur fedeli al Papa, erano permissivi di un nuovo rapporto con l’imperatore, mente i neri, molto integralisti, ritenevano il papa come unico interlocutore, in quanto missus dominici ("mandato dal Signore").  Alla fine si raggiunse un nuovo scontro. Prevalse la fazione dei neri, ed i bianchi furono esiliati. I guelfi bianchi finirono per tornare sui propri passi, alleandosi con i ghibellini. Contando sull’appoggio militare di Scarpetta Ordelaffi, signore di Forlì (ghibellino), cercarono di ritornare a Firenze.
Tra i bianchi esiliati vi era anche Dante Alighieri, che iniziò così il suo vagabondaggio tra le corti toscane. Ciò spiegherebbe il perché Ugo Foscolo, ne “I sepolcri”, alcuni secoli dopo, lo definì "Ghibellin fuggiasco".

I termini guelfi e ghibellini, vennero successivamente utilizzati per evidenziare delle contrapposizioni. Lo si ebbe poi nella lotta tra regno di Francia (guelfo) e del Sacro Romano Impero (ghibellino), e nello stesso XIX secolo, con la nascita delle fazioni Neoguelfe e Neoghibelline.

 
 

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