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CALTAGIRONE E LA CERAMICA SICILIANA

Bullet7blu.gif (869 byte) Introduzione
Bullet7blu.gif (869 byte) La prospera Caltagirone nella Storia.
Bullet7blu.gif (869 byte) Piccole perle si incontrano.
Bullet7blu.gif (869 byte) Il Museo della Ceramica di Caltagirone.
Bullet7blu.gif (869 byte) Breve storia della Ceramica.
Bullet7blu.gif (869 byte) I millenni non sono acqua
Bullet7blu.gif (869 byte) Scuola e Museo: il segreto di Caltagirone.

 

Bullet7blu.gif (869 byte) Curiosità: il fischietto calatino.
Bullet7blu.gif (869 byte) Eventi a Caltagirone: la scala illuminata.

Bullet7blu.gif (869 byte) La Ceramica di Santo Stefano di Camastra.
Bullet7blu.gif (869 byte) Non dimentichiamo le ceramiche di Sciacca.

Bullet7blu.gif (869 byte)Bullet7blu.gif (869 byte) INDIETRO

   
   
     
CALTAGIRONE
    
    Un quartiere di oltre cento
     officine a Caltagirone nel
     Cinquecento produceva ceramiche
     e maioliche per tutte le città del
     Regno aragonese. Oggi lo fa per
     il mondo intero.
   
    Scuola e Museo: il segreto
     di Caltagirone.
   
     
     

 
 

Galleria Luigi Sturzo a Caltagirone (CT)

Me - 23 Gennaio 2008
 

 




da Wikimedia Commons

 

Scuola di Ceramica e Museo della Ceramica realizzano a Caltagirone un tandem assolutamente essenziale. Nel Museo confluiscono tutti i ritrovamenti siciliani, non solo calatini, permettendo lo studio e la ricerca che prima era del tutto impossibile. Molte teorie, come, ad esempio, quella del gesuita Giampaolo Chiarandà, che “ipotizzava” la presenza dell’arte ceramica in Sicilia anteriore alla conquista degli arabi, con gli scavi dell’archeologo Paolo Orsi, nei dintorni di Caltagirone, hanno trovato una chiara conferma. Se è vero che gli arabi introdussero in occidente, tramite Caltagirone,  l’uso dell’invetriatura, tecnica orientale che soppiantò ogni altro uso d’origine classica, è vero anche che nella città calatina trovarono una fervente attività abbondantemente già avviata e sviluppata. Gli artigiani, che trovarono, erano già specializzati nella lavorazione dell'argilla e, specialmente, di contenitori adatti alla conservazione e all’esportazione della grande produzione siciliana di miele, ivi, perciò, gli Arabi introducessero le nuove tecniche e diedero nuovo impulso ad una attività già matura. Di questo connubio miele-ceramica ne parla, infatti, il geografo arabo Edrisi. Si parla delle quartare caltagironesi nei registri di beni lasciati in eredità, come, ad esempio, quello di D.Matteo Calascibetta, Barone di Costumino, residente nella città di Piazza, del 1596.

L'industria del vasellame invetriato in città nei primi del Cinquecento era tale che a fianco della chiesa di San Giuliano esisteva un intero quartiere di maiolicari, esattamente dove venne eretta la chiesa di Sant'Agata
nel 1576. Qui si raccolsero prima di passare, nel Seicento, alla confraternita dell'Immacolata, nell’adiacente convento di San Francesco d'Assisi dei PP. Conventuali. Ci sono giunti documenti che attestano la presenza e i nomi stessi di oltre cento officine di maiolicari attive nel Cinquecento. Si sa anche che la forte confraternita dei vasai offriva, per la festa del protettore della città, San Giacomo, dei paliotti d'altare ornati di un emblema rappresentante un vasaio al tornio. Purtroppo di questa realtà e ci questi ceramisti ci è giunto quasi nulla. La loro opera e i loro nomi sono scomparsi nell’immane dramma del terremoto dell'11 gennaio 1693. A testimonianza del loro lavoro e della loro maestria ci rimane il frammento di un bacile d'acquasantiera, conservato nel Museo Civico di Piazza Armerina. Su esso vi è l’iscrizione del suo autore: "la fonti la fichi m. joanelu di maulichi", cioè "la fonte la fece maestro Jovannello Maurici". Altre opere di ceramica ante terremoto sono state ritrovate con i pavimenti conservatesi di due chiese: Santa Maria di Gesù (opera di maestro Francesco Ragusa) del 1621, e dei Cappuccini (opera di maestro Luciano Scarfia) della seconda metà del Seicento.

Con l’inizio del nuovo secolo, il Settecento, nella necessità di ricostruzione di interi paesi, anche il modo di fare il ceramista cambia e s’aggiorna. Nelle botteghe di Caltagirone si produce di tutto:
vasi con ornati a rilievo e dipinti, acquasantiere, lavabi, paliotti d'altare, statuette, decorazioni architettoniche di facciate di chiese, campanili e case private, pavimenti con ornati a grandi disegni, statue, mezzi busti e rivestimenti in maiolica come quello utilizzato nel Teatrino di fronte il Museo. I disegni, come le stoffe, acquisiscono nuovi disegni, come ornati a motivi floreali, a grandi volute e a disegni continuativi. Il lavoro è intenso e produttivo. Il secolo scopre talenti artistici nell’arte della Ceramica, che ancora oggi ispirano con la loro originalità e bravura.
Se il Settecento diede valore alla ceramica calatina, l’Ottocento ne mise in pericolo l’esistenza. Con l’arrivo nelle pavimentazioni in mattonelle in cemento, e l’uso di nuovi materiali, la produzione delle fornaci iniziò a diminuire in modo esponenziale, introducendo, così, il settore in una crisi strutturale. Eppure, nella crisi, si misero in evidenza artigiani come Giuseppe Di Bartolo,(ceramista pittore e plasticatore), di Enrico Vella
e Gioacchino Ali, (modellatori e progettisti) che fecero crescere la dignità di un mestiere a vera e pura arte. Ma il colpo fu durissimo: la modernità stava per uccidere la storia. Molti furono, d’altra parte, i mestieri legati all’artigianato che rischiarono d’essere persi (alcuni lo furono). Come sarebbe scomparsa la ceramica calatina se don Luigi Sturzo non fosse intervenuto creando la scuola di Ceramica (oggi Istituto Statale d'Arte per la Ceramica) nel 1918. Riunì gli ultimi esponenti della ceramica in quel momento a Caltagirone (il ceramista Gesualdo Di Bartolo, il figurinaio Giacomo Vaccaro ed il plasticatore Giuseppe Nicastro) e sorresse l’insegnamento di un arte millenaria, dandole un volto nuovo. L’abilità di nuovi ceramisti e la stessa scuola che li ha formati, ha portato, ad esempio, alla creazione della famosa e monumentale Scalinata di Maria SS.del Monte in Caltagirone. D’altra parte, il Museo della Ceramica può essere considerato filiazione ovvia della Scuola di don Sturzo. La loro collaborazione è il segreto della “città della ceramica”: Caltagirone, appunto.

 

 
 

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