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LA CITTA' DI CATANIA
Bullet7blu.gif (869 byte) Il territorio catanese
Bullet7blu.gif (869 byte) Il vulcano Etna
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Excursus storico

Bullet7blu.gif (869 byte) Katane

Bullet7blu.gif (869 byte) Il Castello Ursino

Bullet7blu.gif (869 byte) Il Parlamento siciliano a Catania

 

Bullet7blu.gif (869 byte) Leggende catanesi
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Il Parco Letterario Verga
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LA CITTA' DI CATANIA
    
La piana ed il vulcano, il mare e la
    montagna, l'Oasi del Simeto ed il
    Parco dell'Etna, Castello Ursino ed
    il Barocco, tutti nella sola Provincia
    di Catania: la vera bellezza
    è sempre ricca di qualità.
   
    Leggende catanesi /1    
     
     

 
   

Giovanni Battista Vaccarini (1702-1768), la Chiesa della Badia di Sant'Agata a Catania (1767).

 

Giovanni Dall'Orto, 4 Luglio 2008
 

 


 

da Wikimedia Commons

 

Periodo Arabo - La truvatura di Randazzo
Una tra le leggende più conosciute legate ai tesori nascosti, è quella di Randazzo (CT). Si racconta che sotto la bellissima chiesa di S. Maria vi siano argenti ed oro in grandissima quantità. Purtroppo per arrivare al tesoro bisogna passare per sette porte di ferro pesantissime, cosa mai avvenuta in tutti questi secoli. Se avete molto coraggio, poichè il tesoro vi aspetta ancor oggi, andate a Randazzo e ... provateci voi!

Periodo Arabo - La truvatura dell'Etna
Il Monte Santa Maria si trova sull'Etna, tra il monte Collabasso e le lave del Passo dei Dammusi. Su di esso vi è una grotta, detta della femmina e del calzolaio, che si ritiene fosse il nascondiglio di un favoloso tesoro. In questa grotta trovavano rifugio ventiquattro briganti con il frutto delle loro ruberie. In essa avevano rinchiuso una donna e un calzolaio a guardia di ventiquattro mucchi d'oro. Accadde che i briganti un giorno vennero catturati dalle guardie della piana di Catania. La povera donna ed il povero calzolaio morirono di fame attendendo il ritorno dei loro carcerieri. Accadde che si trasformarono in pircanti a guardia dei ventiquattro cumuli d'oro.
Molto tempo dopo passò di lì un pastore con le sue pecore. Saccorse che vi era una grossa pietra da dove spuntava un anello. Incuriosito tirò l'anello e... gli apparve una grotta luccicante d'oro. La sorpresa fu enorme quasi quanto l'avidità di portare tutto via. Riempì le bisacce di quanto più poteva e stava per andarsene felice, quando alle sue spalle rintronò una voce femminile d'oltretomba che disse: Viddanu, viddanu, accussì ti nni vai e ti porti li dinari? Il pastore terrorizzato scappò volando dalla grotta lasciando lì anche le preziose bisacce. Chiuse con la grossa pietra quadra. Nella fretta lo fece erroneamente al contrario:l'anello rimase all'interno e non vi fu più modo d'individuare dove si trovasse la grotta. Nessuno sa più dove si trovi la grotta con i suoi preziosi ventiquattro mucchi d'oro. Anche per questa truvatura non vi è uno scopritore. Il tesoro ancora aspetta nelle viscere del Monte Santa Maria sull'Etna. 

Periodo Arabo - La truvatura della sarpa  di Acireale
Il territorio di Piedimonte Etneo in provincia di Catania, soprattutto il torrente della Difesa, è popolato da folletti e gnomi. Questi a volte appaiono a persone chiedendo di seguirli per portarli a favolose truvature. Sembra siano apparsi ad una contadina che però al solo vederli scappò a gambe levate.
Sempre nel territorio di Catania, ad Acireale, vi è la truvatura della sarpa. Sulla strada che conduce alla borgata di Santa Caterina, presso la chiesetta della Grazia, si nota una grossa pietra che, il fantastico degli abitanti del luogo, vuole che al di sotto di essa si nasconde un immenso tesoro. Nessuno può sollevarla se non seguendo delle regole precise: bisogna mangiarvi sopra un grosso pasce crudo (una sarpa, ed è questo il motivo della sua denominazione) e bervi una intera quartara di vino (circa dieci litri).
Si narra che nel tempo vi fu un coraggioso che ci provò. Beveva e mangiava, beveva e mangiava. Quando era giunto alla testa del pesce, vide uscire dalla grossa pietra tanti folletti che lo burlavano e lo ingiuriavano. Imperterrito continuò a mangiare e bere. Ma all'improvviso apparve un grosso serpente che gli si buttò addosso, l'eroe non potè oltre e invocò la Madonna. Subito il cielo si riempì di tuoni e fulmini, uno dei quali colpì la grossa pietra, facendolo sbalzare lontano. Naturalmente anche questa truvatura rimane solo nella sua leggenda.


Periodo Normanno - Ruggero, uomo del destino
Sempre Ruggero, eroe pluricitato dalle leggende normanne, è legato alla frazione di Santa Maria la Strada, che fa parte del comune di Giarre, in provincia di Catania. La frazione deve il nome ad una piccola chiesa, così denominata poichè è posta lungo la strada (oggi la statale 114) che collegava Catania a Messina. Nel borgo etneo i saraceni attendevano in forze l'arrivo dei normanni. Quando le truppe di Ruggero arrivarono nella località nessuno però li attendeva: al loro arrivo gli arabi si erano ritirati lasciandoli padroni della zona, senza colpo ferire. Fu in questa circostanza che Ruggero fece erigere la chiesa ed un pozzo, noto come «il pozzo di Ruggero».
 

Periodo Svevo - Sant'Agata e Catania
Sul portale sinistro della cattedrale di Sant'Agata di Catania si legge, tutt'oggi, una misteriosa parola: «NOPAQUIE». Il significato di essa sta in una leggenda popolare su Sant'Agata e Federico II.
 Essendosi i catanesi ribellati a Federico II nel 1232, egli decise di infliggere una punizione esemplare: distruggere Catania, e di ucciderene tutti gli abitanti. Ai poveri cittadini non rimase altro che chiedere l'ultimo desiderio. Prima di morire ascoltare Messa nella cattedrale della loro santa protettrice, Sant'Agata. Il re accettò. Anzi, volle ribadire la sua decisione con la propria presenza nella chiesa. Entrato Federico aprì il proprio libro di messa per la funzione. Stupefatto vi trovò inserito un cartiglio misterioso, che portava la scritta «NOPAQUIE». Subito ne chiese il significato, ma nessuno sapeva darne la risposta. Finchè avanzò un anziano monaco benedettino che ne chiarì il senso. La parola era un «acronimo», una parola formata dalle iniziali di otto parole latine: «Non Offendere Patriam Agathae Quia Ultrix Iniuriarum Est» il cui significato era «Non offendere Catania, la patria di Sant’Agata, perché essa ne vendica le offese». Federico II di fronte al prodigio ritornò sulle proprie decisioni. Lasciò i catanesi la vita, fece abbattere soltanto i piani alti degli edifici e costruì castello Ursino, dove è ancora inserito sulla facciata principale un icona marmorea che rappresenta l’aquila sveva che strozza l’agnello catanese.
 A memoria dello straordinario miracolo della loro protettrice, Sant'Agata, i catanesi trascrissero la parola misteriosa.
 
 

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