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Tutto qui? Certamente no, perchè l'argomento non è così semplice. Partiamo dall'origine della voce, nel tardo latino troviamo un Maccum spiegato con il greco kokkola'ganon (ko'kkos= chicco, la'ganon= sottile focaccia cotta nell'olio); probabilmente tale maccum è una forma ridotta del greco makarìa (nel greco moderno anche makaria), in origine "felicità, beatitudine", poi "banchetto funebre", infine "minestra di orzo mondato e brodo". Maccus era anche uno dei più importanti protagonisti delle farse
atellane, attore che anticipa, sotto certi punti di vista, i servi sciocchi del
settecento, i mangiatori ingordi e sempre insoddisfatti: è con il macco di fave che
Macco-pagliaccio si rimpinza, felice di potersi togliere la fame con quello che può
apparire un alimento grossolano a chi la fame se le già tolta in altro modo. La ricetta del macco subisce diverse varianti a seconda delle
provincie. E' interessante analizzare quella pubblicata dal Giornale di Sicilia nel 1968,
in occasione delle rievocazioni di antiche pietanze siciliane: <Maccu: la sera
precedente la preparazione della minestra, si sgusciano le fave secche. Il giorno dopo si
mettono a cuocere in una pentola, con poca acqua, a fuoco lento, avendo cura di
schiacciarle man mano che vanno cuocendo, in modo da formare una poltiglia. A questa purea
si aggiunge tanta acqua, quanto basta per cuocervi la pasta, generalmente attuppateddi.
Per rendere la minestra più saporita, si ha cura di mettervi dei pezzetti di
lardo>. La pasta invece coesiste bene con il maccu, rendendolo simile alla pasta con i fagioli cremosa, dove non si trovano più ne bucce, ne "spagnoli" o "borlotti" interi. Pino Correnti racconta che nella piana di Catania, i contadini si portavano, legate al basto del mulo, delle anfore di terracotta, colme di maccu con paternostri (i minuscoli ditali di pasta scura). L'anfora era sigillata con un tappo di creta, che era eliminato con un colpo di zappa. Il risultato era simile al termos moderno. Nel palermitano invece, per portarsi il maccu sul lavoro, i
paesani lo lasciano raffreddare nel piatto, lo tagliano a fette e lo friggono: il
risultato è una specie di panella di fave. Un alimento essenziale quindi, che prende vita
dalla semplicità con cui il popolo siciliano ogni giorno affrontava la vita, e dove i
legumi in genere erano l'alimento di più facile acquisizione. Oggi preparare questo
piatto è un modo per assaporare la Sicilia di un tempo. |
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