3/9
   
   La Madonna del Tindari
  
Pagine  Bullet7blu.gif (869 byte)   1   2   3   4   5   6   7   8   9

 

 
 
     
  La Madonna del Tindari
 
   MADONNA NERA DI TINDARI:
    ITER DI UN RESTAURO
 

Per saperne di più  

 
   
 
   L'icona ritrovata    
     
     

Testo del  prof. Giovanni Bonanno
Foto di Enzo Brai, Gianni Pedone, Archivio del Santuario


 

 
Statua della Madonna Nera del Tindari dopo il restauro

 
Foto di Enzo Brai, Gianni Pedone, Archivio del Santuario



 







 
Coperta da piviale di seta bianca, su cui fiorisce un ricamo d’oro, e coronata da diadema con castoni di pietre colorate, si presenta la Madonna di Tindari. La quale tiene in grembo, secondo modulo bizantino, il Bambino vestito con tunicella candida e con sul capo una corona regia.
 
Aristocratica e popolare immagine, conosciuta in questa forma da quasi due secoli, che evidenzia ad un tempo la cultura e la devozione del popoio siciliano. Neri i volti e le mani di Madre e Figlio, designanti la provenienza non latina. Chiusi gli occhi, immersi in una realtà altra.
Dipinto di rosso scintillante è l’abito della Madonna, trapuntato di stelle porporine. Luccicano d’oro le scarpe. Un giglio d’argento svetta di tra le dita della mano sinistra.
Davanti a questa icona la gente si prostra con fede, contemplando nelle sembianze mediorientali il mistero della Theotokos.Una dicitura, incisa sul basamento della statua, recita: «Nigra sum sedformosa». Ripresa dal Cantico dei Cantici l’espressione significa la bellezza di Maria nel colore brunito del viso.
Si mostra madre e regina la Madonna, che per ben tre volte viene incoronata: nel 1886, nel 1901 e nel 1940. Della prima corona il canonico Reitano afferma che è «di stile imperiale, di ottone, artisticamente lavorata e finemente dcirata». «Va ghissima corona in argento dorato» é la seconda, con pietre ornative e sempre di struttura "imperiale" come ricorda il can. Giordano.
     
Ha ridondanze barocche la terza tutta in oro, adorna di pietre e di volute che si spingono in alto per tenere un piccolo mondo sovrastato da una croce.
Questa sacra effigie porta sino ad ora nel cuore il pellegrino di Tindari.Benché lungo il deambulatorio dell’abside, nel nuovo Santuario, questa immagine sfolgorante di bleu e di rosso, sia raffigurata come l’antica icona della Madonna di Tindari, pochi in realtà la conoscono. Si tratta, come si evince dai lineamenti, della Nigra sum, che abitualmente è ricoperta dal mantello liturgico e dalla corona regale.
Fin dai primi dell’ottocento la Madonna è ricordata con veste rossa e mantello bleu che scende direttamente da sotto il copricapo, avvolgendo le spalle e l’intera persona e inglobando il trono. Il Bambino porta l’abito bleu e un’ampia stola rossa. La Madre stringe con la sinistra a sè il figlio posto sulle ginocchia, con la destra sorregge un giglio. Gesù ha la mano sinistra poggiata su quella materna, la destra è in atto di benedire.
Colpisce il copricapo della Vergine, simile a un turbante regale di color porporina e così pure la struttura volumetrica per il nero di volti e mani e per il rosso e il bleu delle vesti filettate d’oro e decorate di stelle. Composizione che rimanda a tipologie bizantine e copte. Un’opera che mostra poche relazioni con il mondo occidentale.
Parecchi storici che si sono interessati al simulacro non danno precise notizie sull’origine e sulla struttura. Il Caietano, nel 1657, parlando del tempio di Tindari dice che vi si trova «antiquissimum Virginis simulacrum». Nel 1737 mons. Bonanni dichiara che a Tindari «Extat simulacrum Deiparae Matris, quod coelitus demissum pia fidelium credulitas tenet, et docet vetustissima et immemorabilis traditio». Nel 1774 mons. Pisano scrive del «Simulacrum Beatae Mariae Virginis sub titulo Tyndaride, vetustate insigne».
L’arrivo della statua a Tindari è avvolto da un’alone di pie cronache, rispondenti a forme letterarie diffuse in varie regioni meridionali. Ottavio Caietano narra con evocazione immaginifica: «Un tempo (non è noto quando) varcava per il mar Tirreno un naviglio, nel quale fra l’altre mercantie, era la statua di che ragioniamo, e costeggiava, in cielo sereno, quei lidi dell’isola vicini al Tindaro, ed ecco, fuori da ogni aspettazione, s ‘arrestò; e quantunque gli soffiassero prosperissitni venti, non poté in verun modo andare più oltre...».
Ricco di particolari è il racconto del ritrovamento della Madonna e del suo insediamento sulla sommità del colle, dove esiste un tempio, «unico avanzo della città di Tindaro».
L’abate Spitaleri nel 1751 accenna all’ «immagine miracolosissima di Maria Santissima con stupendo portento venuta dall ‘Africa», per aggiungere subito dopo, «che in effetto è negrissima».
Di recente, nel 1949, il vescovo Ficarra, umanista e storico, che non si lascia suggestionare da immaginazioni preferisce asserire: «possiamo solo pensare che la venerata icona sia stata portata dall’Oriente», quindi che, «è assai antica e di stile bizantino», ipotizzando il tempo del suo arrivo: o in epoca iconoclasta o meglio «durante il periodo delle crociate, quando le galee delle nostre Repubbliche veleggiavano di continuo verso il mondo orientale e il rito greco fiorì a lungo nella nostra Sicilia».
Diffusa è la convinzione che il simulacro della Madonna sia un assemblaggio di legni e stoffe e che siano originali solo alcune parti.
Confrontando la Nigra sum con la Madonna di Montserrat, nera anche essa, Rosario Giordano nel suo volume, edito nel 1987, asserisce che l’immagine mariana spagnola «è una bella scultura del XII secolo.., dorata e policromata... tutta scolpita in legno» subito aggiungendo che della Madonna siciliana «sono scolpiti soltanto il volto, le mani e il Bambino, il resto della statua è costituito di legno informe, sicuramente sostituito nel tempo e le modanature delle immagini sono eseguite attraverso un canovaccio reso rigido da stucco che copre il legno».
Totalmente perduta è la memoria della forma medievale. I pochi tentativi di conoscenza scientifica della struttura non vanno oltre una analisi di superficie. Anche le letture compositive ed estetiche sono modeste. La statua é ritenuta all’interno un tronco grezzo, con aggiunte di legni sovrapposti, «rivestito da involucro di canovaccio». Nessuno sospetta la verità.
 
 

  Back  

Next

HOME